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Toccare la lingua è come toccare la persona stessa“. Questa frase, presa da Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana di Alma Sabatini del 1987, riassume, a mio avviso, molto bene il libro di Vera Gheno “Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole“, edito da effequ.

La sociolinguista autrice di questo interessante testo, con chiarezza, competenza e, oserei dire, molta pazienza, ci conduce nell’affascinante mondo della lingua italiana rispondendo punto per punto a chi, tra le pagine dei social network come Facebook e Twitter, commenta in merito alla possibilità di usare il femminile nelle professioni svolte dalle donne.

Due cose mi hanno colpito, riprendendo la frase di Sabatini che si può leggere in più modi. “Toccare la lingua è come toccare la persona stessa” nel senso che attraverso l’uso delle parole è possibile dare visibilità alle cose, alle persone, alle soggettività. Non nominare implica, di conseguenza, non vedere o occultare. D’altro canto quel “toccare” rimanda anche a quel senso di invasività, quasi fastidio, se non proprio forte disagio, dimostrato da chi nei commenti scrive di non essere affatto d’accordo con la declinazione al femminile di professioni e mestieri, facendo leva su convinzioni spesso erronee circa le regole della grammatica italiana o ancora peggio su una presunta cacofonia di queste “nuove” parole.

Partendo dai proverbi, chiacchiere da “bar globalizzato” e proseguendo in un excursus dei femminili nel tempo, Vera Gheno più volte ribadisce ciò che molte persone pensano: che i cambiamenti della grammatica italiana possano essere imposti, per così dire, “dall’alto” attraverso l’Accademia della Crusca ma, in realtà

La Crusca, nella pratica, non ha un ruolo rigidamente prescrittivo; come tutti gli enti interessati a questioni di lingua descrive la realtà linguistica piuttosto che prescriverla. Non esiste alcuna superiorità in Italia che abbia il potere di imporre alcunché a livello linguistico. […] La Crusca, casomai, consiglia, propone, argomenta, normalmente in linea con quanto dichiarato anche dagli enti che si occupano di lingua nel nostro paese.

Non ultima, nel libro è affrontata anche la tematica del femminismo che come recita il sottotitolo “è nelle parole“. Nell’ultimo capitolo, “Femminismo non è una parolaccia“, infatti, l’autrice mette in evidenza, con tanto di esempi tratti sempre da commenti o articoli di giornale, che quando riguarda una donna l’insulto più classico riguarda la sfera della sessualità e come “punizione esemplare” spesso viene chiamato in causa lo stupro. Cosa che non avviene nei confronti di un uomo.

Il sistema etero-cis-patriarcale si manifesta anche tra le parole che usiamo e per questo non posso che consigliare caldamente la lettura di questo libro come stimolo a riflessioni più ampie e che, inevitabilmente, riguardano tutte le soggettività.

Infine, mi piace, sottolineare l’intento finale di Vera Gheno con le sue parole:

[…] non voglio attaccare in alcun modo coloro (maschi e femmine) che invece preferiscono usare il maschile sovraesteso, o che magari si autodefiniscono avvocato o direttore pur essendo di sesso femminile. Penso che oggigiorno ci sia posto per tutti, e che affermare la correttezza linguistica (e sociale) dei femminili professionali non equivalga certo a dire che usare il maschile sia sbagliato tout court. […] Sogno, insomma, un dibattito informato sulla questione.

Dott. Davide Silvestri

Vera Gheno, Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, effequ, 2019

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